Grandi sculture


Grandi Sculture: Cane di Alberto Giacometti   

 Figlio di Giovanni Giacometti, pittore post-impressionista
svizzero, Alberto Giacometti (1901-1966) coltivò da subito sia pittura che scultura, ma fu forse nella seconda che raggiunse i risultati migliori.

Studiò a Ginevra, poi a Parigi, sotto il noto scultore Emile-Antoine Bourdelle, assistente del grande Rodin, che lo oscurò (Bourdelle era ricercato per il suo bel monumentalismo ellenistico, con cui arricchì alcune piazze francesi, ma non ebbe mai le considerazioni di cui godeva il Maestro, e di questo soffrì per tutta la vita).
Giacometti ebbe un lungo periodo surrealista (1928-1935, con  un fugace rientro nel 1938) da cui si distaccò per avventurarsi in un’espressione propria, originale, realizzata attraverso la proposta di oggetti mobili e muti, difficilmente identificabili, che si possono riferire a una ricerca fortemente intellettuale del senso delle cose.
La proposta, poi, si sviluppò culminando nella realizzazione di figure fisse, schematiche, ridotte all’osso, che trascinarono l’artista in un precipizio esistenziale (e non esistenzialistico come voleva Sartre: Giacometti non accettava affatto di vivere con rassegnazione e con immediata reazione orgogliosa, con continue e fiere impennate della coscienza di fronte all’ineluttabile, come voleva una faccia dell’esistenzialismo, quella più viva) estremamente interessante.
Questo “Cane” scolpito nel 1951 (è al MoMa di New York, mentre il “Gatto”, dello stesso anno e ancora più esile, è al Metropolitan), più ancora delle figure filiformi di uomini in cammino, ha un messaggio drammatico e urgente: è la contrapposizione dell’idea alla mancanza di senso del tutto.
Lo rivelano le linee-forza della composizione, il carattere della figura, la certezza del passo in avanti nonostante tutto, nonostante la magrezza delle risorse, nonostante la disperazione, nonostante la pochezza dell’uomo. Ben venga, dunque, anche un pizzico di presunzione, di baldanza, di vanagloria: con tutto questo, la condanna all’illusione passa in secondo piano.

Il “Cane” è metafora di una sconsiderata schiena diritta, bramata come una salvezza, da parte dell’esistenza, dell’esistere, dell’esserci, del doverci stare.  (Dario Lodi)

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