Scienza


Una catastrofe culturale

Lucio Russo nel suo bel libro “L’America dimenticata, i rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo” (ed. Mondadori 2013), pone l’accento sul fatto (stranamente ignorato dai libri di storia) che a metà del II secolo a.C. il mondo mediterraneo subì una gravissima catastrofe culturale. Talvolta ci si domanda, infatti, come mai i Greci avessero profonde cognizioni di astronomia, quali l’eliocentrismo (la teoria che postula che il Sole sia fisso al centro del Sistema Solare e che i pianeti vi girino intorno, contrariamente a quanto sembrerebbe in apparenza), la sfericità della Terra e la conoscenza dei suoi più importanti parametri (il diametro, la distanza dal Sole e dalla Luna) e molto altro, che furono del tutto dimenticate per secoli. Bisogna, infatti, attraversare tutto il Medioevo e il Rinascimento per arrivare fino al 1600 con Galileo per ritornare a una visione scientifica (e non dogmatica) dell’astronomia: è come se in tutti quegli anni l’umanità si fosse addormentata, regredita a uno stato d’involuzione culturale.

Carthago, delenda Carthago!

Nel suo libro, Lucio Russo ci spiega che tutto ciò inizia con un brusco cambiamento nella politica estera romana, unica vera potenza del mondo mediterraneo a quei tempi, che scatenò un’ondata distruttiva e di dominio verso Cartagine, la Grecia e i regni ellenistici, paesi che all’epoca possedevano una profonda cultura scientifica e filosofica.
I Cartaginesi, sotto la guida di Annibale, erano giunti a mettere in pericolo il dominio romano. Tuttavia le sorti cambiarono e dopo la sconfitta nella terza guerra romano-punica, la città fu distrutta nel 146 a.C. da Scipione l’Emiliano. I Romani distrussero Cartagine perché era una città che non si era arresa subito: il famoso motto “delenda Carthago” fu pronunciato da Catone il censore in Senato, convinto che non fosse possibile venire a patti con i Cartaginesi. I cinquantamila sopravvissuti furono venduti come schiavi e ben poche tracce rimasero della cultura dei Cartaginesi, in seguito associata solamente ai sacrifici umani al dio Moloch (persino D’Annunzio nel 1914 utilizzò questo stereotipo con intenti di propaganda coloniale). Va detto, a onor del vero, che tutti i popoli del Mediterraneo (compresi gli Ebrei e i Greci dell’età arcaica) avevano praticato sacrifici umani, anche se tali pratiche si erano estinte prima che lo facessero i romani. In realtà i Cartaginesi erano profondamente “ellenizzati” ed erano sicuramente superiori ai romani nell’agricoltura, nella navigazione, e probabilmente anche nel campo scientifico e filosofico (in cui i romani, invece, erano assolutamente ignoranti)

La caduta della Grecia e degli stati ellenistici

La politica estera verso la Grecia fu altrettanto brutale: Corinto, principale centro della lega achea, fu rasa al suolo e Roma incorporò la Grecia nei suoi domini. Le città greche si spopolarono, molte opere d’arte furono danneggiate o sequestrate, molti furono deportati e alcuni intellettuali (come lo storico Polibio) adottati come istitutori nelle famiglie romane più colte.
L’Egitto dei Tolomei perse tutta la sua autonomia. La capitale Alessandria, principale centro culturale del Mediterraneo, sede della famosa Biblioteca (la più grande raccolta di libri esistenti al mondo) deperì. L’egiziano Tolomeo VII, in pratica un agente romano, fu messo a capo del governo della città e si dimostrò altrettanto rozzo e spietato dei romani verso la popolazione (che lo chiamava “il malfattore” oppure “il pancione”). Questi azzerò la vita culturale di Alessandria, i cui intellettuali si sparsero per il mondo senza potere fondare scuole, con conseguente perdita delle nozioni acquisite da secoli. A dirigere la Biblioteca, posto che era spettato a personalità del calibro di Eratostene, fu messo un capitano dei lancieri. La biblioteca fu depredata. A Roma era divenuto di moda possedere una biblioteca greca, anche se i proprietari non avevano le capacità di capirne il contenuto. La maggior parte delle opere scientifiche e filosofiche ellenistiche finì col perdersi.


Cicerone

Non solamente i romani erano profondamente ignoranti in temi scientifici o filosofici, ma arrivavano addirittura a disprezzare queste discipline. Uno dei vertici della cultura latina, Cicerone, sosteneva che l’oratoria fosse superiore a ogni altra disciplina, tra cui la filosofia e la matematica. Russo nota che “ancora oggi sopravvive una concezione degli studi umanistici di stampo ciceroniano, che genera in molti una reazione di rigetto contro l’intera eredità culturale classica”. Un brillante scrittore del II secolo, Luciano, scrivendo a un amico, arriva a ridere delle presunte capacità dei Greci di “vedere attraverso i confini del cielo” (ossia di vantare conoscenze astronomiche), nonostante alcuni di loro fossero vecchi e ciechi!


La geografia

Oltre all’azzeramento delle esplorazioni oltre il mediterraneo (i Fenici ad esempio erano quasi sicuramente arrivati a circumnavigare l’Africa come cita Erodoto, cosa per la quale si dovette attendere fino al 1497 con Vasco da Gama), il concetto di “geografia matematica” (in cui alla Terra è associata una sfera e i suoi luoghi descritti da coordinate, latitudine e longitudine) fu dimenticato. Le “colonne d’Ercole” divennero un limite invalicabile (idea trasmessa in seguito anche da Dante). Le conoscenze astronomiche della Terra furono perdute. Si perse il concetto di sfericità, che risaliva al V secolo a.C. con Parmenide (e fatta propria poi da Platone), le nozioni di equatore e tropico, la nozione delle sue dimensioni (Eratostene era arrivato a determinare la lunghezza del meridiano terrestre con un errore inferiore all’1%) e di obliquità dell’eclittica (l’angolo tra il piano in cui giace l’orbita terrestre, chiamato eclittica, e il suo asse di rotazione, di circa 23°). Si tornò a una concezione del cielo come “sfera incastonata di stelle”, nonostante Ipparco di Nicea nel II secolo a.C., sospettando che le stelle non fossero fisse ma si muovessero di un moto lentissimo, avesse addirittura compilato un catalogo stellare, registrando per ognuna di esse la latitudine e la longitudine sulla sfera celeste affinché i posteri potessero verificarne le variazioni.


Tolomeo e il suo sistema

In un apprezzabile intento di recuperare la geografia matematica, si cimentò intorno al II secolo d.C. Claudio Tolomeo, che visse tra il 90 e il 170 d.C. ad Alessandria d’Egitto e che fu uno dei massimi scienziati dell’epoca.
Scrisse un celebre trattato di astronomia chiamato in arabo Almagesto (“il grandissimo”) in cui, pur riprendendo l’antico concetto di sfericità della Terra, espose al tempo stesso la tesi della sua immobilità (anche se Tolomeo stesso affermò non esservi prove in tal senso).Tolomeo formulò un complicato modello basato sui concetti di “epicicli” e “deferenti” (ripresi dall’astronomo greco Ipparco e modificati, introducendo inoltre il concetto di “equante”) che dava conto, almeno in prima approssimazione, del moto dei pianeti visti dalla Terra. Questo modello del sistema solare ebbe ampia diffusione nell'antichità e nel medioevo, soprattutto per ragioni filosofiche e religiose: un sistema che poneva la Terra al centro dell’Universo (ipotesi peraltro non prevista da Tolomeo, ma di origine aristotelica) rendeva infatti naturale considerare l'uomo come apice e fine della creazione. Inoltre una Terra immobile si accordava perfettamente con certi passi delle Scritture. La Chiesa cattolica sposò quindi pienamente il sistema tolemaico che rimase di riferimento per tutto il mondo occidentale fino a che non fu sostituito tra il XVI e il XVII secolo dal modello di sistema solare eliocentrico dell'astronomo polacco Niccolò Copernico (che riprese tuttavia un concetto già noto ai Greci ai tempi di Aristarco di Samo).



Una catastrofe culturale all’orizzonte?

Di queste catastrofi culturali nella storia ne sono accadute parecchie. Lucio Russo ricorda come lo stato egiziano dell’epoca faraonica, ad esempio, si dissolse almeno tre volte.

Se guardiamo all’Italia di oggi, gli ingredienti per un collasso culturale ci sono tutti. In particolare il disprezzo per la cultura scientifica (i nostri grandi scienziati sono tutti all’estero, come tanti giovani laureati in discipline scientifiche), l’esaltazione dell’oratoria di eredità ciceroniana (si apprezzano i demagoghi e nelle decisioni importanti per i cittadini non si usa la logica, che è figlia della matematica), il degrado in cui vertono il patrimonio culturale e l’esercizio delle arti classiche (in primis la musica), la perdita della memoria storica. Tutti questi sono indizi di un’involuzione culturale che sta allargandosi a macchia d’olio. Riusciremo a trovare un nuovo Galileo che ci aiuti a superere questo nuovo geocentrismo, un Vasco da Gama che ci porti di là delle colonne d’Ercole entro cui ci ha confinato il nostro provincialismo?  (Luca Maltecca)

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